tracci con una matita le linee utili a creare forme e disegni di quello che ti passa per la testa ed è tutto lì, tutto nitido, pronto ad essere colorato con le tinte che preferisci.
Pastelli, pennelli e pennarelli.
Sono ancora io, ma un altro io, nelle pieghe di un tempo che è sempre più in linea con la mia persona.
Sorrido un po’, ho perso il vizio di scrivere fra queste pagine e difficilmente tornerà ad esserlo, non ora, non in questo presente, non ne avverto alcuna esigenza. Preferisco passare per lasciare qualche strappo, un segno, come quello di oggi.
Si sono succeduti una moltitudine di eventi in queste settimane, tanti che davvero avrei avuto bisogno di un diario per fermarli tutti. Una volta il mio diario era proprio questo, quando appena una manciata di persone si connettevano e non mi conoscevano nemmeno, poi il vezzo di dare sfogo alla creatività che mi ha sempre spinto oltre, ha fatto sì che divenisse uno spazio pubblico, troppo pubblico, dove il bisogno di sapere di chi cerca in una vita la propria vita cozzava con il mio privato.
È un discorso d’identità e di facciata in fondo: chi siamo, quello che vogliamo, dove andiamo.
Ho vissuto le versioni più brutte di molte persone, ma soprattutto la mia, ho visto quello che non volevo vedere, compreso realtà ben lontane dall’essere verità, perché la verità sa nascondersi ancora meglio, occultata dietro strati di frottole, immagini distorte, omissioni doverose.
E quando finalmente riesci ad arrivarci e la raccogli con lo stesso stupore di un bambino davanti al giocattolo tanto agognato, ti ingegni nel cercare un modo per utilizzarla. Perché scoprire di essere divenuto il peggior te stesso per via di quel narcisismo inutile di chi si innamora di sé – soltanto perché si è riusciti in qualcosa – ha un costo in termini di ricostruzione della parte genuina che si era occultata.
L’autostima è una cosa, il sentirsi sempre al di sopra delle parti è un’altra.
Troppo semplice puntare il dito contro gli altri, scaricarsi delle responsabilità che ci sono proprie ed addossarle: “Tu hai detto, tu hai fatto”. Ancora di più sminuire: “Ma che ti frega, si sistemerà, il problema non esiste”.
Anche fosse, siamo stati noi ad averlo acconsentito.
E il giorno zero è stato giorni fa in un incontro (scontro) nel momento ideale, nessun tasto di reset. Non era tutto da buttare, no, tuttavia filtrare è stato un lavoro crudele.
Scindere cosa tenere e cosa no, cosa mi appartenesse sul serio.
È giusto non dimenticare.
È l’episiotomia della onestà, nessun solipsismo, semplice coerenza d’essere quello che sono adesso.
È per questo che sono sereno e non ho nessuna ansia a premere urgente per questa o quella cosa: siamo io e i miei desideri da concretizzare nella loro spontaneità e con chi ha voglia di starmi intorno senza falsi atteggiamenti.
Sono ancora io, ma un altro io.
Ora vado, torno a colorare.

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