e infilato nell’ultimo cassetto in fondo all’armadio. “Meglio così” avevo pensato. Parcheggiato in mezzo ai sogni caduti, alle speranze spirate, ai ricordi meno piacevoli. Guardare gli ieri dall’alto in basso con quella capacità analitica e certosina che aiuta a scremare gli errori e i sensi di colpa da quelli altrui. Ci bastano i nostri. “Meglio lì” mi ero detto. Meglio non affondarci, attingerci ancora, meglio in una scatola, meglio lasciarlo impolverare. Vivere la vita subendo gli eventi e senza ancorarcisi troppo, quasi spettatore dal finestrino di un treno: tutto scorre senza lasciare una traccia evidente. Col sapore né amaro né dolce del niente – perché niente era troppo importante – camminavo nei giorni di aridità emotiva e tutto sommato mi ero anche abituato a farlo. Non ero felice, no, ma nemmeno scontento. È un po’ come respirare, lo fai perché necessario, non ti costa fatica. Poi non lo so che cosa è successo, non lo so com’è capitato. Avevo una sensazione strana. Quel sesto senso che ti avverte che sta cambiando qualcosa. Una mattina ho riaperto l’armadio, ho guardato bene in fondo e ho ritrovato la scatola. L’ho aperta, ma era vuota. Assolutamente vuota. Deserta. Ispezionata in lungo e largo: niente. Non c’era più. Qualcuno l’aveva rubato, ma non me ne ero accorto. “Quando?” mi sono chiesto ricordando i vari passaggi tra un’azione all’altra. Giorni, settimane e mesi da scartabellare. “Qui no, qua no, nemmeno qui”. E poi, eccoti lì, un momento in mezzo a tanti, è stato lì che sei entrata. Non ti ho sentita, non c’è stato un rumore di passi evidenti, nemmeno un’orma o più d’una da seguire per arrivare a te. E ricordo esattamente il momento, adesso. È stato il 6 Febbraio. Quel giorno mentre mi ero distratto lo hai preso. Prima hai preparato la strada, il piano per arrivarci, poi l’hai preso. E se ora penso che è nelle tue mani, un po’ mi spaventa, tuttavia ne sono felice. Non avrei trovato custode migliore. Da allora sono passati tanti altri giorni e pare proprio ne passeranno tanti altri. Non è mai semplice fidarsi, affidarsi, i trascorsi hanno un peso ben definito, ma ciò che è stato è stato davvero, non può avere senso far pagare i conti a chi si impegna per non fare male, per fare soltanto bene. È un confine labile, che però fa la differenza. Non sono perfetto, ma tento di migliorarmi ogni giorno, capire un errore, correggerlo. Sono propositivo, sempre. Tutte cose che conosci e vivi con me dandomi tutta te stessa. E ti ringrazio davvero di questo. L’avevo chiuso in una scatola e infilato nell’ultimo cassetto in fondo all’armadio, tuttavia non avevo fatto i conti con te.

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2 thoughts on “L’avevo chiuso in una scatola

  1. …e dire che aspettavo il post nuovo è dire poco… 🙂

    anche se avevo paura che dopo la paura che t’ho fatto venire ieri sera me la facessi pagare…e invece…!!!

    amore mio,quello che stiamo davvero costruendo insieme lo sappiamo solo noi,e ne abbiamo ogni giorno la conferma…sei importante amore mio…non vedo l’ora che arrivi stasera…mi manchi…

    il tuo indice :*

  2. ..non so? lo aspettavi con ansia Amore?;-)

    E invece nessun conto da pagare, hai visto? Anche io ormai Amore aspetto solo stasera, un altro mattone per la nostra casa, ti bacio ragazzina.. buon QPGA ;*

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