Il tempo segna nuovamente il proprio passaggio

lungo il mio personale viaggio: sono trentadue, nessuno sconto. Un percorso vissuto fin qui appieno, con la voglia di esserci, con il desiderio di fare. Sono parte integrante della generazione del Commodore 64, delle partitelle a calcio sotto casa, di jeans e tute strappatie sulle ginocchia – e perennemente rattoppate – dove mia madre mi urlava dalla finestra che era tardi e che era pronto da mangiare. Sono figlio della vecchia Lira che la DC ha sperperato ben bene e che ci ha regalato i danni economici che pagheremo chissà ancora per quanti decenni. Sono figlio dell’inizio di quel marketing che ha imposto usi e consumi nella nostra società. C’ero quando i cellulari erano ancora utopia e per sentirsi si usava il telefono di casa in orari prestabiliti – generalmente quelli dei pasti – e come ritrovo c’era il bar o tutto al più il muretto di qualche via. Sono quello che con un PC desktop Olivetti x286 ha completato decine di volte le avventure di Guybrush Threepwood e che qualche anno più tardi si è connesso ad internet per la prima volta e che è stato pioniere delle prime chat con pochi altri utenti. Sono quello delle notti in bianco per il solo piacere di respirare la vita con la falsa convinzione che tutti gli altri dormono; sono quello che ti ascolta per ore solo per il piacere di conoscerti e di aiutarti in una qualche maniera, perché ogni persona, per quanto diversa, ha un proprio motivo d’essere; sono quello che non si spiega il decennio Moggi; sono quello che ha sogni che forse non si realizzeranno mai, ma che sono il motore migliore per vivere ogni attimo con la giusta importanza; sono quello che crede nell’amore, quello che essere maschi va bene, ma essere stronzi no, è un’altra cosa; sono quello che si stupisce ancora, che non da nulla per scontato; sono quello che ti da l’anima, ma che se lo freghi se lo ricorda; sono quello che se inizia una cosa la finisce, magari anche in tempi biblici, ma non si tira indietro; sono quello delle Philip Morris blu, perché le Malrboro oro gli seccano la gola, sono quello che va bene mettere da parte i soldi, ma che vista la garanzia di non eternità che abbiamo se ogni tanto si spendono non è un reato; sono quello che i giorni non sono mai abbastanza lunghi, che vorrebbe giornate interminabili per portare avanti tutto; sono quello che di errori ne ha fatti tanti, ma che non ha smesso di imparare per non ripeterli; sono quello che niente è facile, ma che niente è impossibile; sono quello che è cresciuto sia con Dylan Dog che con i manga giapponesi; sono quello che non ama troppo sentirsi vincolati, che è disponibile, certo, ma che ha anche bisogno di spazi; sono quello che è pronto a dare sicurezze, ma che ogni tanto ne richiede indietro; sono quello che stimi, detesti, ignori o adori, sono semplicemente io, così come mi sento e non mi dispiace esserlo. Vi ringrazio per il calore che mi riservate con buona costanza ed oggi in particolare, ringrazio Pasticcio che – con una recita da premio Oscar – mi ha fatto una sorpresa stupenda; le persone che mi sopportano quotidianamente e quelle che lo fanno da lontano; quelle stelle in cielo che mi osservano da lassù e alle quali proprio oggi se ne aggiunge una ed anche, perché no, le persone che proprio non mi tollerano. Grazie veramente, se qualcosa è davvero riuscito, se qualcosa è andato come speravo e merito mio e vostro, vi voglio bene.

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