Quindicimila giorni di me e di me

​Quindicimila volte di me con me sono tanta roba: quindicimila giorni, quindicimila notti, quindicimila volte svegliarsi e dirsi: “vediamo cosa succede o che possiamo costruire oggi.”
E di cose ne sono successe sempre, tante, troppe. Cercate, volute, capitate.
Alcune belle, altre meno, qualche volta noiose, spesso normali, altre entusiasmanti e pure quelle dolorose.
Dieci anni fa scrivevo ogni microcazzodettaglio della mia esistenza, che fosse nel blog, in un post da qualche parte, MSN, un quaderno, un file di word.
Avevo bisogno di trattenere, imprimere in qualcosa che la memoria non potesse condizionare, offuscare, scontornare più di quanto il pensiero soggettivo non faccia già da sé, perché lui, il tempo, ha il vizio e l’arroganza di portarsi via tutto, senza distinzione, senza preoccuparsi di cosa e come, di quanto e perché.
Il tempo non ha un sentimento, non ha una sensibilità, un orgoglio, una codardìa.
E non si può vincere contro chi non ha cuore.
Così a poco a poco ho smesso di scrivere, ho accettato che le cose andassero, che non rimanessero nel particolare delle mie parole, ma non per questo ho vissuto meno.
Ho tentato di fare sempre meglio, cercando di prendere il buono dai contesti casuali e di spingerli verso dove avrei voluto, perché in fondo il tentativo ultimo credo sia quello di vivere la vita per come la vorremmo.
Ed ecco allora che il dover forzare, imporsi di fare questa o quella cosa per il piacere altrui non è più accaduto: faccio quello che mi va di fare, nei limiti del lecito e nei limiti di quanto posso permettermi.
È una piccola e banale libertà, ma non curarsi più del giudizio di terzi – che quasi mai è delle persone che ti amano, stimano e quasi mai è lineare, coerente – è una libertà che richiede un costo, un sacrificio oggettivo nella parte iniziale, perché socialmente siamo davvero troppo portarti a cercare l’approvazione altrui.
Ieri sera, alla fatidica mezzanotte ero con lei e – sì mi sopporta ancora da quasi sei anni, incredibile, eh? – mi ha chiesto se alla fine il punto in cui sono è il punto in cui avevo desiderato essere in questo momento.
Difficile rispondere con esattezza.
Da ragazzino pensi delle cose che che sfumano un attimo dopo, da adolescente ne vedi altre ancora che poi cozzano con la realtà.
I desideri cambiano, i sogni, le speranze, sono in evoluzione.
Si può dire che tra gli universi paralleli in cui avrei potuto essere, questo presente, lo indosso bene.
E quindi eccomi qui, quarant’anni e qualcosa è riuscita bene, qualcuna un po’ di merda, altre chissà, si vedrà, ma con la stessa passione e voglia di di fare, di metterci il mio, perché l’unico modo di andare d’accordo col tempo, è sfruttarlo per me.
I rimpianti, i rimorsi, le parole non dette, quelle sbagliate, quelle di troppo, i nervosismi: inutile rimuginarci, quello che è fatto è fatto, la perfezione non è di questo mondo e con qualche errore si può anche convivere.
Il mio auspicio è che quanto c’è rimanga, il resto può solo migliorare.
Grazie a tutti per il tempo che mi avete dedicato, le carezze fanno sempre, sempre bene al cuore.

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