Non sempre mi vengono le parole, anzi.

Non sono un fiume in continuo fluire, il connubio perfetto fra quello che esprimo e le riflessioni che mi vivono dentro.
Pioverà, forse sì, forse no: mi interessa?
Alcune volte, nonostante la stanchezza pressante addosso, anche il rumore più piccolo non permette di addormentarsi: il vociare per la strada, qualche televisione a volume troppo alto, una macchina che sgomma e corre la via. Altre, invece, è qualche rumore che viene da dentro: il battito del cuore accelerato, un pensiero che non si scosta, un vorrei che si incastra dietro le palpebre scese.
Quanti vorrei.
Nascono così, nella quotidianità, per quello che si aspira, costruisce, respira.
E sono dietro quel muro, i sacchi dei miei vorrei. Ce ne sono tanti, catalogati per giorno, per oggetti, per persone, per intuizioni.
Ho preso il tuo stamattina, non era pieno, ma c’erano parecchi post-it gialli accatastati gli uni sugli altri, l’ho riversato a terra e ho letto, ho letto quante cose ho scritto con la mia grafia in stampatello, quante cose su di te, per te.
Desideri strappati ai momenti che abbiamo trascorso e non trascorso insieme.
Qualcuno fa pure sorridere, rileggendolo. Quasi non mi ci ritrovo, eppure sono stato proprio io.
Il sorriso però, si spegne presto sulle labbra: non trovo il modo di mantenerlo oggi.
Sei così lontana e non soltanto fisicamente.
Hai fatto una scelta, involontaria, ma pur sempre una scelta.
Ci sono delle conseguenze da gestire.
Ho un conto da pagare.
Il libero arbitrio qualche volta fa male.
E mi pesa.
E gli effetti sono tutti qui: un mondo di vorrei da buttare.
Prendo le forbici.
Prendo quei fogli minuti ed ecco che mi ritrovo invaso da piccoli coriandoli gialli inchiostrati.
Addosso, intorno, tra i capelli.
Ne rimane uno lì, riverso, non so se toccarlo, se tagliarlo, tenerlo.
Avevi ragione, era stato un abbraccio freddo, eppure il cuore ce l’avevo in tumulto.
Avevi ragione, c’era qualcosa che non andava.
Avevi ragione, c’era qualcosa che non avevo capito nemmeno io.
Eppure quello che volevo era proprio fra le mie braccia.
“Gianni fai sul serio, non lo chiedo più”.
Il tuo orgoglio, inutile, nel non capire che l’orgoglio non c’entra proprio nulla in alcuni contesti.
Né vincitori e né vinti.
Né pieghe e né piaghe.
Né amore e né dolore.
Sono solo dei conti.
Non sempre vengono le parole, anzi. In alcune occasioni bisogna proprio strapparsele fuori e non si sa come farlo.
Guardo l’ultimo post-it: lo tengo e lo fisso sul muro.

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4 thoughts on “Non sempre mi vengono le parole, anzi.

  1. Ciao Gianni..in questi ultimi Post bellissimi e molto passionali sto leggendo come un “terremoto” dentro di te..un’alternanza di mille sentimenti e sensazioni che ti sono cuciti addosso anche se forse in qualche momento vorresti strapparteli ma non si può….
    Alle volte ci riusciamo quando quegli stessi sentimenti non sono così forti come avremmo pensato e invece altre volte sono talmente forti da non poter fare altro che accettarli.
    Perchè è sempre tutto così complicato nella vita e quanto volte invece siamo noi che stupidamente ci impegnamo per renderci la vita impossibile?
    Un caro saluto

  2. Ciao Martina cara,
    sì, dici bene, terremoto emozionale e non solo e qualche volta sì, mi rendo conto che queste emozioni hanno la forza di predere il sopravvento e questo mi destabilizza, perché dall’altra parte la situazione per più motivi è abbastanza delicata, ci vuole tempo e pazienza e domani, col post, comprenderai meglio la mia sensazione, ad ogni modo vale anche i momenti no 🙂 per il complicarsi le cose, io e lei siamo maestri, però è vita anche questa e va assaporata fino all’ultima goccia..
    Ti abbraccio

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