C’era scritto: “Forsa Italia!”

su uno di quei bigliettini appuntati su di un albero di Natale davanti alla stazione Termini, segno che a qualche straniero, passato per la capitale magari in vacanza, dispiace enormemente per le difficoltà che il nostro paese sta attraversando. Parlando, all’ultima riunione sindacale, ho offerto il mio disappunto, nonché le mie vie risolutive per i problemi che stiamo vivendo, ma che a poco a poco diventano così consueti da nemmeno preoccuparsene più, perché le quotidianità, a volte troppo serrate e ingombranti, ci strappano via il tempo per molte riflessioni. C’è un senso di accettazione comune che fa quasi spavento, dove la superficialità ha la priorità su ogni cosa. Non si combatte per niente, presi dal solo egoismo nel gestire il nostro micro sistema, ci abbandoniamo ad un senso di perdita fin dal principio condividendo due link su Facebook, pensando così di essere dei rivoluzionari. Basterebbe tanto poco, invece, per fare qualcosa di concreto. Non è stata una nostra scelta essere a questo mondo, ma è un nostro diritto esistere con la dignità che ci identifica prima di tutto come persone. Tuttavia preferiamo recitare una parte per rispecchiarci negli altri e rimanere integrati e sfortunatamente, ciò si ripercuote in ogni sfaccettatura delle nostre vite, perché non è importante quello che siamo, ma è importante che gli altri abbiano un’impressione positiva di noi. Se ci pensate bene, col distacco necessario, vi renderete conto che se ne potrebbe fare a meno e che non prendere atto di quello che si è, è il primo torto che commettiamo verso noi stessi e l’inizio della recita. Non è necessario recitare per farci amare, è necessario ascoltarci e contornarci da chi compie lo stesso processo, altrimenti ci ritroveremo ad essere degli eterni insoddisfatti che dovranno accontentarsi e sentir piangere dentro, per sempre, una parte di sé.

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